Parole, parole, parole. Ancora parole. Siamo stati a Trieste e abbiamo visitato due musei e una mostra, e oltre alle foto scattate (dove si può, ché in alcuni luoghi, come sappiamo, non è lecito ancora) e riflessioni diverse, rimangono le parole: sulla carta, sui muri, nell’aria; scritte, scandite, mormorate, appese, appoggiate, appiccicate… oppure assenti, dimenticate, trascurate. Già, perché, per tornare a quel che scrivevamo del Triennale Design Museum, dove la parola è, appunto, assente, rimandata e collocata altrove, non si può dire che il nodo sia facile da sciogliere. La parola nel museo, la parola in mostra.Accade, come nella mostra attualmente in corso a Trieste Ettore Sottsass. Vorrei sapere perché (6 dicembre 2007 – 2 marzo 2008, Salone degli Incanti, ex Pescheria centrale, riva Nazario Sauro) che ci si trovi in questa situazione, nell’“isola” tematica dedicata agli ornamenti: un testo con le parole di Sottsass da leggere su una parete mentre, al di sopra, due altoparlanti emettono la voce di Ettore Sottsass stesso, che pronuncia altre parole, discorsi diversi. Esperienza tremenda, sicché alla fine ci si allontana non avendo letto né ascoltato. Ci son però due altre cose da dire, e forse qualcuna in più.La prima è che la Pescheria, per volume e altezza, è un luogo pessimo per l’acustica; e se è vero che per la mostra di Sottsass il difetto – evidentissimo – è accentuato dal numero contenuto di installazioni e materiali, non è che vada meglio quando di installazioni ce ne sono di più, come avevamo notato in occasione della prima edizione di Fest, la Fiera dell’editoria scientifica di Trieste che si è tenuta lo scorso maggio. Pure essendo certi che Trieste ha guadagnato con la Pescheria un luogo centrale per eventi e manifestazioni, forse curatori, exhibit designer e allestitori dovrebbero cominciare a una soluzione. Se allora, durante Fest, il rumore era moltiplicato da interviste e conferenze in corso, monitor e altoparlanti, oltre che dai visitatori, nel caso della mostra di Sottsass la sensazione di fastidio è forse ancor più accentuata, visto che una fondamentale componente è affidata proprio alla parola parlata. Il risultato è un sommesso eppur rimbombante brusio. Ciascuna delle sette isole tematiche in cui si articola il percorso (ancora questo numero, il 7, come anche a Milano; forse nel 2008 sarà di moda l’8? [Ma in questo paese – dove si dice che i giovani sono sempre più lontani dalle scienze matematiche – pare che il desiderio di dare numeri sia incontenibile: quale comunicato non proclama oggi: «100 pezzi» o «oltre 100 pezzi»? Così a Milano, del pari a Trieste, e giù giù lungo lo stivale…]) è infatti una struttura colorata e d’ispirazione sottsassiana, destinata ad accogliere oltre gli oggetti – all’interno, tranne che nel caso dei gioielli/ornamenti – un testo di Sottsass – sulle pareti esterne – e due altoparlanti – all’interno, tranne che nel caso dei gioielli. (Le isole o “templi”, come suggeriscono i comunicati, sono dedicati a: Disegno, Ornamenti, Ceramica, Vetro, Architettura, Oggetti, Fotografia.) Del difetto acustico forse se ne sono accorti anche i curatori, dato che l’audio – se anche nell’insieme disturba – in ogni isola è tenuto con un volume tanto basso da rendere difficilmente comprensibili alcuni passaggi. Non è che si voglia criticare, tanto per il piacere di farlo. Abbiamo apprezzato molto il lavoro degli stessi curatori – Marco Minuz, Alessio Bozzer e Beatrice Mascellani – per la mostra dedicata lo scorso anno a Enzo Mari. E apprezziamo la scelta di dare spazio, soprattutto nel caso di Sottsass, alla sua parola. Buona l’idea, non buona l’esecuzione, insomma. (Tanto più che in questa mostra il peso dato alla parola di Sottsass è evidente scelta dominante, e le didascalie sono rimandate a sette fogli informativi, uno appeso in ogni isola; benché crediamo che semplici cartellini didascalici non avrebbero disturbato molto, è una scelta che, per com’è concepita la mostra, si può anche accettare.)Anzi, per il peso dato alla parola (ed è questa la seconda cosa): ottima idea, perché il dono di sé che un autore/artista/progettista/poeta/quant’altro fa attraverso le sue parole, oltre che le sue opere, è cosa preziosissima e rara. Come non essere rapiti, per esempio, nel sentire Sottsass ricordare suo padre architetto, un architetto artigiano, che lavorava in casa, aiutato dalla moglie, la madre di Sottsass, che provvedeva a cancellare gli errori nei disegni?Altrettanto si apprezza la presenza delle fotografie – non molte invero, ma per ogni isola sono pochi i materiali esposti – che aiutano a suggerire il milieu in cui Sottsass (ne ripetiamo il nome ché ci è difficile definirlo; designer come lui vuole? artista? poeta?) ha vissuto, è cresciuto (nel 2004 a Napoli si è tenuta una mostra delle fotografie di Sottsass, che in tale occasione ha rilasciato questa intervista a “L’espresso”). “Suggerire”, però, non molto di più, e si va via con l’acquolina in bocca, il desiderio di cercare, studiare, leggere, sapere di più (ecco, questo sì, succede a Trieste, con questa mostra. Ma sarebbe difficile il contrario, dato il personaggio). Che cosa pensare davanti a quel Chet Baker, 1960 a Milano, con il bicchiere sempre in mano, con sguardo di eterno fanciullo – come lo ricorda mio papà – sempre Alone Together…? E poi Ezra Pound con Allen Ginsberg a Portofino, Hemingway a Venezia… Qualche tempo fa un’amica ci diceva che non si può capire Sottsass senza guardare alla sua opera fotografica, agli anni con Fernanda Pivano, all’insieme delle sue esperienze.Ha fatto bene allora l’amico Gabriele Toneguzzi, intervistato con Minuz da RadioTre, lunedì 10 dicembre scorso, a ricordare e ribadire la ricchezza di esperienze di Sottsass, il valore “progettuale” anche della fotografia nella sua opera, a suggerire la lettura del volume edito da Neri Pozza Ettore Sottsass. Scritti 1946-2001, a sottolineare in ultimo la grande generosità di Sottsass, in specie verso i giovani. I quali allora speriamo che vadano a vedere la mostra, e se ne vadano via con quel desiderio di conoscere e sapere di più.Approfittiamo per citare, dal catalogo (Electa), Sergio Polano che per parlare di Sottsass cita:- Eupalinos: «In tutti i campi, l’uomo veramente forte è colui che meglio sente che niente viene dato, che bisogna tutto costruire, tutto acquisire, che trema quando non sente ostacoli, e ne crea… Per costui la forma è una decisione motivata».- Paul Valéry: «Unica fra tutte le arti, e in un attimo indivisibile di visione, l’architettura carica il nostro animo del sentimento totale delle facoltà umane».